Secondo le ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) sull’ipertensione arteriosa del 2018, la terapia di associazione, preferibilmente in associazione precostituita (single pill combination, SPC) è raccomandata nella maggior parte dei pazienti, con la possibile eccezione di anziani fragili e di pazienti con ipertensione arteriosa di grado 1 e a basso rischio cardiovascolare.

Le linee guida consigliavano, sino ad alcuni anni fa, un approccio iniziale con monoterapia e titolazione del dosaggio, con ricorso successivo a terapia di associazione.

Tale approccio ha tuttavia mostrato alcuni limiti, come dimostrato dallo scarso raggiungimento dei target (circa 35% dei pazienti).

L’inefficacia dei farmaci ha un ruolo secondario. L’inerzia del clinico nel perseguire i target, così come la scarsa compliance dei pazienti, rendono il controllo pressorio arduo da raggiungere.

La terapia di associazione presenta alcuni indubbi vantaggi.

  • Permette un raggiungimento più rapido, efficace e duraturo del controllo

La regolazione della pressione arteriosa è soggetta a meccanismi di compenso dell’omeostasi. L’utilizzo di diuretici e/o vasodilatatori stimola ad esempio il sistema ortosimpatico e il sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS), da cui il razionale, analizzato in seguito, delle associazioni comprendenti RAAS e diuretico/calcioantagonista

  • Migliora l’outcome: il raggiungimento del target pressorio mediante titolazione della monoterapia riduce gli eventi coronarici del 29% e gli eventi verebrovascolari del 40%; la terapia di associazione li riduce invece rispettivamente del 40% e del 54%
  • Permette, mediante l’utilizzo di associazioni precostituite, di ridurre la complessità degli schemi posologici, migliorando la compliance e favorendo il raggiungimento dei target.

Le terapie di associazione preferite secondo le linee guida correnti prevedono l’utilizzo di bloccanti del sistema renina angiotensina aldosterone (RAAS), associati a calcioantagonisti o diuretici (TABELLA 1) [1].

Evidenze degli inibitori del RAAS (particolare riferimento al ramipril)

Gli ACE inibitori hanno dimostrato efficacia nel trattamento dell’ipertensione arteriosa e riduzione degli eventi cardiovascolari. Hanno inoltre dimostrato di ridurre la mortalità in pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione (HFrEF) e con precedente sindrome coronarica acuta [2, 3]. L’effetto deleterio dell’ACE non è unicamente riconducibile all’effetto vasocostrittore dell’angiotensina II. L’angiotensina II (AT II) è uno dei più potenti vasocostrittori conosciuti. L’effetto si esplica, oltre che per vasocostrizione diretta da parte di AT II, anche per aumentato catabolismo della bradichinina, mediato dall’ACE. L’ACE è peraltro coinvolto nei processi di flogosi e rimodellamento della matrice. L’enzima NAD(P)H ossidasi, indotto da AT1, media infatti la sintesi di ROS, con conseguente aumento dello stress ossidativo e riduzione della biodisponibilità di NO [4]. L’induzione del fattore NF-kB, da parte della NAD(P)H-ossidasi, media il recrutamento leucocitario e la secrezione di interleuchine pro-infiammatorie (IL-6). L’interazione ACE/AT1 media anche la sintesi di proteine della matrice e stimola la proliferazione miointimale, contribuendo al rimodellamento. In modelli murini, l’inibizione di AT1 ha infatti dimostrato di ridurre l’incidenza di ristenosi intrastent [4]. L’effetto anti-rimodellamento a livello miocardico determina una ridotta incidenza di fibrillazione atriale, mentre l’effetto protettivo a livello vascolare riduce la progressione del danno renale [5, 6]

Due ACE-inibitori in particolare, ramipril e perindopril, hanno dimostrato di ridurre significativamente la mortalità in pazienti con precedente sindrome coronarica acuta [7]. Tali molecole, accomunate dall’elevata lipofilia, presentano infatti maggiori effetti pleiotropici rispetto agli altri ACE-inibitori. L’elevata lipofilia delle molecole sarebbe alla base di tale peculiarità, permettendo un più forte legame tissutale della molecola. L’elevata selettività di entrambe le molecole per la bradichinina, di gran lunga superiore rispetto agli altri ACE-inibitori, contribuirebbe inoltre alle spiccate proprietà vasodilatatrici, antiossidanti, anti-infiammatorie ed antiaterogene descritte [3]. In pazienti con precedente sindrome coronarica acuta e HFrEF, il ramipril ha ridotto la mortalità del 27% e gli eventui avversi cardiovascolari del 19%. Ramipril e perindopril vantano pertanto evidenza diretta in tale contesto, sebbene un effetto di classe sia talora ipotizzato [7, 8].

Secondo le attuali linee guida ESC, gli ACE-inibitori sono indicati in pazienti con precedente sindrome coronarica acuta e HFrEF [1].

 

Evidenze dei CCB (particolare riferimento all’amlodipina)

I calcioantagonisti sono agenti efficaci nella riduzione della pressione arteriosa e hanno dimostrato, rispetto ad altri agenti antiipertensivi, una maggiore efficacia nella riduzione dell’ictus, nonché nella prevenzione e riduzione della progressione dell’aterosclerosi carotidea. Risultano inoltre efficaci nella prevenzione del danno renale e della sua progressione, mentre risultano meno efficaci nella prevenzione dello scompenso cardiaco (specie HFrEF) [5, 6].

L’amlodipina deve gli effetti antiossidanti alla struttura lipofila e donatrice di protoni (carica positivamente a pH fisiologico). Mediante interazione con i fosfolipidi di membrana, l’amlodipina dona infatti protoni ai perossidi lipidici, inibendo il processo di perossidazione. Viene pertanto giustificato l’effetto antiossidante sulle LDL, quindi l’azione anti- aterogena (FIGURA 2).

Sempre in virtu’ della carica positiva a pH fisiologico e delle numerose interazioni con i fosfolipidi di membrana, (carica negativa, R-COOH-), la molecola presenta elevatissima concentrazione in prossimità della membrana cellulare, fino a 10000 volte pari a quella presente nell’interstizio. Tale interazione ne potenzia gli effetti antiossidanti [2]. L’amlodipina potenzia inoltre la produzione di NO attraverso la sintesi di bradichinine.

Tali caratteristiche giustificano l’utilizzo di amlodipina in associazione a inibitori del RAAS, in alternativa a betabloccanti, in pazienti con malattia coronarica con ipertensione arteriosa, in virtù dell’effetto anti-aterogeno [1].

Razionale ed evidenze dell’associazione ACE inibitore + calcioantagonista

Le linee guida ESC consigliano attualmente la terapia di associazione, preferibilmente in associazione precostituita, nella maggior parte dei pazienti. Tale approccio permette di ridurre il dosaggio di ogni singola molecola, riducendo l’incidenza di effetti collaterali, nonché migliorando il controllo pressorio e la compliance [1]. Le combinazioni iniziali consigliate dalle linee guida prevedono l’associazione di un inibitore del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) e di un calcioantagonista o un diuretico (classe I A). In caso di mancato controllo, è consigliata l’associazione di un inibitore del RAAS, di un calcioantagonista e di un diuretico tiazidico o simil-tiazidico [1]. La combinazione di inibitori del RAAS con calcio-antagonista o diuretico è risultata più efficace dell’associazione di betabloccante e diuretico nella prevenzione degli eventi cardiovascolari.

Tale associazione presenta diversi vantaggi:

  1. Maggiore efficacia antiipertensiva rispetto alla monoterapia
  2. Favorevoli effetti metabolici [9]. I CCB hanno infatti dimostrato di migliorare la sensibilità all’insulina. La vasodilatazione a livello splancnico e a livello muscolare favorisce l’utilizzo del glucosio; la ridotta concentrazione intracellulare di calcio nelle cellule beta del pancreas migliora la sensibilità insulinica
  1. Gli ACE-inibitori controbilanciano l’iperattivazione del RAAS conseguente alla vasodilatazione indotta da CCB
  2. Il blando effetto diuretico e natriuretico (vasodilatazione arteriola afferente) dei CCB potenzia l’effetto degli ACE-inibitori
  3. Sia i CCB, sia gli ACE-inibitori, presentano effetto anti-infiammatorio, antiossidante e anti-aterogeno [9].

 

Razionale ed evidenze dell’associazione ACE inibitore + tiazidico

I diuretici tiazidici e simil-tiazidici, in particolare il clortalidone, hanno dimostrato buone efficacia anti-ipertensiva e protezione cardiovascolare. Possibili effetti collaterali legati alla somministrazione di tiazidici sono il rischio di ipokaliemia e problemi metabolici (ridotta sensibilità all’insulina) [10]. L’associazione con ACE-inibitori sartani presenta alcuni vantaggi [9]:

  1. Gli ACE-inibitori controbilanciano l’iperattivazione del RAAS secondaria all’azione dei diuretici
  2. Gli ACE-inibitori migliorano la sensibilità all’insulina, come precedentemente esposto, controbilanciando i supposti effetti metabolici negativi dei tiazidici
  3. Entrambe le molecole contribuiscono al controllo pressorio e alla protezione dal danno renale [9, 10].

Terapia di associazione, razionale ed evidenze. Considerazioni finali

La terapia di associazione ha dimostrato diversi benefici nel controllo pressorio e nella protezione dal danno d’organo.

In particolare, le associazioni di RAAS e calcioantagonista/tiazidico sono consigliate dalle attuali linee guida. Grazie ad un’azione sinergica, riducono infatti il rischio di effetti collaterali (iperattivazione del RAAS, disionie, effetti metabolici) e facilitano il controllo pressorio. Garantiscono inoltre, mediante effetti pleiotropici, antiossidanti, antinfiammatori e anti-rimodellamento, sicurezza ed efficacia per un’ampia gamma di pazienti, ipertesi e affetti da comorbidità.

Table 1 Indicazioni di trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa (linee guida ESC 2018)

Table 2 Trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa in pazienti con malattia coronarica, approccio per step (linee guida ESC 2018)

Figure 1 Proprietà fisico-chimiche dell’amlodipina e razionale dell’inibizione della perossidazione

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  1. Williams, , et al., [2018 ESC/ESH Guidelines for the management of arterial hypertension]. Kardiol Pol, 2019. 77(2): p. 71-159.
  2. van Vark, C., et al., Angiotensin-converting enzyme inhibitors reduce mortality in hypertension: a meta-analysis of randomized clinical trials of renin-angiotensin-aldosterone system inhibitors involving 158,998 patients. Eur Heart J, 2012. 33(16): p. 2088-97.
  3. Dinicolantonio, J., C.J. Lavie, and J.H. O’Keefe, Not all angiotensin-converting enzyme inhibitors are equal: focus on ramipril and perindopril. Postgrad Med, 2013. 125(4): p. 154-68.
  4. Heeneman, , J.C. Sluimer, and M.J. Daemen, Angiotensin-converting enzyme and vascular remodeling. Circ Res, 2007. 101(5): p. 441-54.
  5. Thomopoulos, C., G. Parati, and A. Zanchetti, Effects of blood-pressure-lowering treatment on outcome 12. Effects in individuals with high-normal and normal blood pressure: overview and meta-analyses of randomized trials. J Hypertens, 2017. 35(11): p. 2150-2160.
  6. Thomopoulos, C., G. Parati, and A. Zanchetti, Effects of blood pressure-lowering on outcome incidence in hypertension: Head-to-head comparisons of various classes of antihypertensive drugs – overview and meta-analyses. J Hypertens, 2015. 33(7): p. 1321-41.

 

  1. Pilote, L., et al., Mortality rates in elderly patients who take different angiotensin-converting enzyme inhibitors after acute myocardial infarction: a class effect? Ann Intern Med, 141(2): p. 102-12.
  2. Heart Outcomes Prevention Evaluation Study, , et al., Effects of an angiotensin-converting-enzyme inhibitor, ramipril, on cardiovascular events in high-risk patients. N Engl J Med, 2000. 342(3): p. 145- 53.
  3. Reboldi, , et al., Choice of ACE inhibitor combinations in hypertensive patients with type 2 diabetes: update after recent clinical trials. Vasc Health Risk Manag, 2009. 5(1): p. 411-27.
  4. Barnett, , Preventing renal complications in type 2 diabetes: results of the diabetics exposed to telmisartan and enalapril trial. J Am Soc Nephrol, 2006. 17(4 Suppl 2): p. S132-5.

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